SUL DISCONOSCIMENTO DI DOCUMENTI NEL PROCESSO CIVILE
Nel processo civile le domande o le eccezioni vengono fondate, ove possibile, su prove documentali, indispensabili quando debba darsi prova di un contratto (v. art. 2721 cod.civ.) e comunque esenti dai rischi derivanti dalle deposizioni testimoniali, talvolta ritenute inattendibili: atti, contratti, ricevute o lettere sottoscritti dalla controparte costituiscono, ad esempio, piena prova (positiva o negativa) delle obbligazioni dedotte in giudizio, mentre documenti provenienti da terzi (si pensi alle relazioni di notifica di un atto, od all'avviso di ricevimento di una raccomandata, od alla copia di un assegno recante la girata per l'incasso) ci permettono di opporre l'interruzione della prescrizione, o l'avvenuto pagamento di un debito.
Il codice civile attribuisce comunque - comprensibilmente - un maggior valore alle prove documentali, rispetto alle prove testimoniali: le quali non sono mai ammesse per provare patti orali (anteriori o contemporanei alla stipula del documento) in contrasto con il contenuto di un documento e - quando si tratti di patti successivi alla stipula del documento - possono ammettersi soltanto qualora la modifica verbale di un patto documentale possa considersi verosimile «avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza» (artt. 2722 e 2723 cod.civ.).
Fra le diverse prove documentali il codice civile contempla, tra le altre:
- l'atto pubblico, redatto da un notaio o un pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli fede nel luogo dove l'atto è formato, il quale fa prova - fino a querela di falso - della sua provenienza, delle paternità delle dichiarazioni delle parti, e dei fatti (per es., versamento di somme o consegna di documenti) che sono attestati come avvenuti alla presenza del rogante (art. 2700 cod.civ.);
- la scrittura privata, ossia quel documento sottoscritto da una o più parti, che contiene dichiarazioni o pattuizioni, e che - qualora le sottoscrizioni siano autenticate da notaio o pubblico ufficiale autorizzato, o non siano ritualmente disconosciute - costituisce prova - fino a querela di falso - della paternità del documento in capo a chi ne risulta il sottoscrittore (artt. 2702 e 2703 cod.civ.);
- le riproduzioni fotografiche, informatiche, cinematografiche, fonografiche e in generale "meccaniche" di fatti e di cose (compresi i documenti) rappresentati, le quali hanno valore di piena prova se la loro conformità all'originale non sia ritualmente disconosciuta (art. 2712 cod.civ.); tali sono tutti i documenti che vengono normalmente prodotti in giudizio nel processo civile telematico, essendo la produzione di singoli documenti cartacei, per ragioni specifiche, subordinata all'ordine del Giudice (art. 196 quater disp.att. c.p.c.), con la sola eccezione delle copie di atti pubblici attestati digitalmente conformi da notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato, e degli atti processuali o di parte contenuti nei fascicoli telematici ed attestati conformi dal difensore.
le attestazioni di conformità del difensore nel processo telematico
E' bene chiarire che le attestazioni di conformità effettuate dal difensore ai fini della produzione telematica, non attribuiscono al difensore un generale potere certificativo.
Ed infatti, al pari dell'abrogato art. 16 decies del D.L. 179/2012, introdotto nel 2015 dalla legge n. 132/2015, gli attuali artt. 196-octies e 196-novies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, introdotti dalla c.d. riforma Cartabia, limitano infatti tale potestà ai soli atti del giudice, degli ausiliari del giudice ed agli atti di parte che siano contenuti nel fascicolo informatico (o allegati alle comunicazioni di cancelleria).
Un diverso documento, benché (impropriamente) munito dell'attestazione di conformità dell'avvocato difensore, costituisce una copia informe priva di efficacia probatoria privilegiata: e tuttavia le rappresentazioni meccaniche, ai sensi dell'art. 2712 cod.civ., formano piena prova delle cose rappresentate, «se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime».
la querela di falso
La efficacia probatoria privilegiata dell'atto pubblico o di una sua copia autenticata da pubblico ufficiale autorizzato, ovvero della autentica delle firme in una scrittura privata può essere posta in discussione - quando si contesti la veridicità delle attestazioni del pubblico ufficiale autorizzato - soltanto attraverso la "querela di falso" disciplinata dall'art. 221 cpc: ossia quello specifico procedimento che si svolge con l'intervento del Pubblico Ministero, e che si conclude con una decisione suscettibile di costituire cosa giudicata.
La querela di falso può proporsi - a differenza del disconoscimento di scrittura privata o di una riproduzione meccanica - in ogni stato e grado del giudizio, salvo che non sia passata in giudicato la sentenza che pronuncia la verificazione della sottoscrizione;
tuttavia, nel caso in cui la querela di falso riguardi la falsità ideologica del contenuto del documento, essa può proporsi anche qualora la autenticità della sottoscrizione sia stata accertata con effetto di giudicato (come precisato da Cass. 2152/2021).
Tale procedimento non riguarda - si badi - le copie (riproduzioni meccaniche) di documenti, realmente esistenti, ma privi di fede privilegiata, avverso i quali è sufficiente il disconoscimento (ovviamente specifico, e non generico) della loro conformità rispetto all'originale;
tuttavia riguarda certamente la copia di una scrittura privata, della quale si deduca non già la parziale diversità rispetto all'originale (realmente esistente), bensì la sua totale artificiosità, non esistendo in realtà alcun originale.
Infatti, «l'allegazione della inesistenza dell'originale (pur veicolata da un disconoscimento ex artt. 2712,2719 cod. civ.) non attiene propriamente a un disconoscimento della conformità (e, quindi, alla inibitoria della traslazione della efficacia probatoria dall'originale alla copia), bensì ad altra difesa del contribuente, ossia al fatto che la copia prodotta - in quanto priva di originale - è stata artificiosamente creata. (...) Il "diniego di originale" non attiene alla contestazione del contenuto del documento (difforme da un originale esistente), bensì alla contestazione dell'esistenza stessa del documento, difesa che va ascritta alle contestazioni finalizzate a espungere dall'ordinamento un documento artificiosamente creato e prodotto in giudizio e che richiedono la querela di falso, proponibile anche avverso un documento prodotto in copia, in quanto finalizzata a rimuovere l'efficacia probatoria (piena) della copia fotostatica della scrittura privata» (Cass. 24029/2024).
Se la querela di falso è formulata in corso di giudizio (anziché in un giudizio autonomo, in via principale) il Giudice interpella la parte che ha prodotto il documento:
- se la parte dichiara di non volersene avvalere, il documento diviene inutilizzabile in quel giudizio soltanto;
- se invece la parte dichiara di volersene avvalere, il Giudice - qualora ritenga che il documento sia rilevante per la decisione - autorizza la presentazione della querela di falso, ammette gli idonei mezzi istruttori e ne dispone l'assunzione, ed infine si pronuncia sulla falsità o sulla genuinità del documento, con effetto erga omnes.
il disconoscimento della scrittura privata
il disconoscimento di conformità della riproduzione meccanica
Avverso la produzione della copia di una scrittura privata - priva quindi della efficacia probatoria propria degli atti pubblici (purché non si neghi in radice l'esistenza di un "originale"), o ancora avverso la produzione di una riproduzione meccanica (art. 2719 cod.civ.) la parte contro la quale è effettuata la produzione dovrà - a pena di decadenza - nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione (art. 214 cod.proc.civ.):
- negare la propria scrittura o sottoscrizione, ovvero
- dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del proprio dante causa, ovvero
- denunciare la mancanza di genuinità della riproduzione meccanica, in quanto difforme dai fatti, le cose, o i documenti rappresentati.
In mancanza di tali disconoscimenti, le copie, le scritture e le riproduzioni meccaniche acquistano piena efficacia probatoria.
Invece, ove il disconoscimento venga compiuto tempestivamente (e correttamente, in modo non soltanto generico), occorre distinguere:
- nel caso di disconoscimento della sottoscrizione o della scrittura (o di dichiarazione di non conoscere la sottoscrizione o la scrittura del dante causa) il documento perde ogni valore probatorio: a meno che la parte che intende avvalersene non proponga una istanza di verificazione, assumendosi i relativi oneri probatori, e che la verificazione abbia esito positivo;
- nel caso di disconoscimento della conformità della copia prodotta al suo originale, la copia contestata non diviene automaticamente inutilizzabile: «Il disconoscimento di conformità, che attiene al contenuto del documento prodotto in copia e non alla provenienza o "paternità" del documento, ha pertanto una efficacia diversa e sin anche minore rispetto al disconoscimento previsto dall'art. 215, secondo comma, cod. proc. civ., consentendo l'utilizzazione della scrittura e, in particolare, l'accertamento della conformità all'originale della copia prodotta anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni» (cfr. Cass. 24029/2024, nonché le decisioni, ivi citate, Cass. 13519/2022; Cass. 12737/2018; Cass. 3122/2015; Cass. 4395/2004).
E' bene ricordare che la istanza di verificazione di una scrittura privata può proporsi all'interno di un giudizio - e in tal caso avrà effetti esclusivamente istruttori, limitati a quel procedimento;
essa può altresì proporsi in un autonomo giudizio, ed in tal caso la relativa sentenza acquisterà autorità di cosa giudicata tra le parti.
le modalità del disconoscimento dei documenti
La necessità di un espresso (e tempestivo) disconoscimento non riguarda la sola autenticità della sottoscrizione di una scrittura privata non autenticata (ai sensi degli artt. 214 e 215 cod.proc.civ.), ma anche la conformità di una qualunque copia (non prodotta in originale rilasciato da notaio, o in copia autenticata), o di una riproduzione meccanica, all'originale.
La decisione della Corte di Cassazione n. 5755 del 24-02-2023 ha affrontato tale ultimo argomento, con congrua motivazione, enunciando infine il seguente principio di diritto:
«In caso di produzione in giudizio di una copia fotografica di scrittura, così come - più in generale - di una riproduzione meccanica, il disconoscimento di conformità previsto rispettivamente dall'art. 2719 c.c. e dall'art. 2712 c.c. deve aver luogo nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione, essendo assoggettato ad un onere di tempestività omologo a quello previsto dall'art. 157, comma 2 c.p.c. con riferimento al rilievo del difetto di un requisto di forma-contenuto dell'atto processuale stabilito nell'interesse della parte».
Così come il disconoscimento della autenticità della sottoscrizione richiede la formale negazione della propria scrittura o della propria firma (o la dichiarazione di non conoscerle, se effettuata dall'avente causa), infatti, il disconoscimento della corrispondenza della copia all'originale non può validamente effettuarsi in modo generico, nè «con clausole di stile e generiche, quali "impugno e contesto" ovvero "contesto tutta la documentazione perché inammissibile ed irrilevante"».
E' invece richiesto, come precisato anche dalla recente decisione della Corte di Cassazione n. 32062 del 12-12-2024, che la contestazione sia:
«operata - a pena di inefficacia - in modo chiaro e circostanziato, attraverso l'indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall'originale (Cass., 3 aprile 2014, n. 7775; Cass., 13 dicembre 2017, n. 29993);
« (...) il disconoscimento di un documento in copia, ai sensi dell'art. 2719 cod. civ., deve essere specifico, quindi riferito ad una copia concretamente individuata e successivo, effettuato cioè dopo la produzione in giudizio della copia medesima (Cass. 30 gennaio 2006, n. 1991; Cass. 24841/2020, cit.)».
La contestazione della conformità della copia all'originale - pertanto - deve contenere sia la specifica individuazione delle parti non genuine, sia la indicazione del genuino contenuto della scrittura.
(avv. Francesco Isola)
Questa opera è concessa in licenza con i termini CC BY-NC-ND 4.0